Angelo Francesco Lavagnino

Angelo Francesco Lavagnino (Genova, 22 febbraio 1909 – Gavi, 21 agosto 1987) è stato uno di quei musicisti che hanno attraversato mondi diversi senza mai perdere la loro impronta. Formatosi al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano come violinista e compositore, si muove inizialmente nel repertorio sinfonico e sacro, arrivando perfino a scrivere musica per il Teatro alla Scala. Ma il suo talento trova la massima espressione nel cinema: dagli anni Cinquanta firma colonne sonore memorabili, da Otello e Falstaff di Orson Welles a commedie italiane come Un americano a Roma, fino ai grandi documentari d’avventura come Continente perduto e Vertigine bianca, che gli valgono i Nastri d’Argento.

La cifra di Lavagnino è sempre stata la capacità di unire eleganza orchestrale e colore narrativo. Nei film di viaggio o ambientati in paesi lontani, ad esempio, amava registrare musiche locali e poi rielaborarle in partiture raffinate, mescolando tradizione e modernità. Questo gli ha dato un’impronta tutta sua, che lo ha reso ricercatissimo tanto dal cinema italiano quanto da quello internazionale.

Accanto alla carriera più visibile c’è però un’altra dimensione, meno nota ma altrettanto significativa: quella della musica di servizio televisivo. Negli anni Settanta Lavagnino lavora con la CAM, la casa discografica che produceva non solo colonne sonore ma anche raccolte di library pensate per la RAI. È lì che nascono pezzi orchestrali destinati ai monoscopi, alle siglette, ai legamenti tra un programma e l’altro. Uno dei brani più riconoscibili in questo contesto è “Fiesta a Pamplona”, con la sua energia ritmica e l’atmosfera festosa che ben si prestava a riempire quei minuti sospesi delle trasmissioni tecniche. È un esempio perfetto di come un autore nato per il grande schermo si sia ritrovato, quasi di nascosto, a scandire la quotidianità televisiva degli italiani.

In questo senso, Lavagnino è stato un compositore “a due vite”: da un lato i grandi film e i premi, dall’altro quella presenza invisibile ma costante dietro le schermate di attesa della RAI, dove il suo nome non compariva ma la sua musica parlava da sola. È proprio grazie a titoli come “Fiesta a Pamplona” che oggi possiamo riconoscerlo anche nel repertorio “monoscopico”, accanto ad altri giganti della musica per immagini come Morricone o Piccioni.

Lavagnino si è spento nel 1987, ma il suo lascito resta duplice: autore colto e sinfonico, capace di confrontarsi con registi internazionali, e allo stesso tempo voce discreta della memoria televisiva italiana, in quei brani che tutti hanno ascoltato almeno una volta, magari senza sapere di chi fossero.