Parlare di Ennio Morricone significa parlare di un mondo intero. Non di un semplice compositore di colonne sonore, ma di un autore che ha ridefinito la musica applicata all’immagine fino a farla diventare linguaggio universale. Dalla Roma del Conservatorio, con una formazione rigorosa e colta, al sodalizio con Sergio Leone, fino alle grandi produzioni hollywoodiane, Morricone ha composto più di cinquecento partiture, lasciando una traccia che va oltre il cinema: è diventata memoria collettiva, patrimonio emotivo.
Il suo rapporto con la televisione italiana è stato altrettanto capillare: la RAI ha trasmesso, rielaborato, riproposto le sue musiche per decenni, tanto che i brani di Morricone erano spesso già “a casa” dentro le case degli italiani, riconoscibili in un attimo anche da chi non conosceva i titoli dei film. Non sorprende allora che, quasi per riflesso naturale, alcuni di questi temi siano finiti persino in contesti imprevisti come il Monoscopio RAI.
Non era musica scritta per quell’uso, né pensata come “riempitivo”: erano frammenti di un corpus immenso che, per la loro forza evocativa, potevano abitare qualsiasi spazio. E così accadde: anche davanti a un cartello statico, un tema di Morricone riusciva a suggerire narrazione, a rendere poetica l’attesa, a trasformare un momento vuoto in un frammento di cinema interiore.
Ma di fronte a Morricone non ha senso parlare solo del monoscopio. Sarebbe come ridurre l’universo a una singola stella. Il punto vero è che lui dominava l’intero cielo delle colonne sonore: dalla malinconia struggente di “C’era una volta in America” alla tensione nervosa dei polizieschi, dall’ironia spiazzante dei western all’astrazione quasi sperimentale delle partiture contemporanee. Tutto portava la sua firma riconoscibile, eppure sempre nuova.
Ecco perché, se anche qualche suo brano ha finito per riecheggiare tra i colori geometrici del monoscopio, il senso profondo resta un altro: Morricone era talmente grande da non avere confini. Le sue note hanno potuto vestire ogni immagine, ogni tempo, ogni attesa. Anche la più muta e tecnica delle attese televisive.