Il nome di Sauro Sili oggi non è tra i più ricordati, eppure negli anni Sessanta e Settanta era una presenza familiare nella musica leggera italiana. Pianista, arrangiatore, direttore d’orchestra, ha accompagnato cantanti nei festival più importanti, da Sanremo a Canzonissima, e ha lavorato a lungo nei programmi della RAI, portando sempre con sé un tocco di raffinatezza. La sua era una musica che non cercava di stupire, ma di vestire bene la voce, di darle respiro con arrangiamenti chiari, equilibrati, eleganti.
In questo percorso, che già di per sé lo lega strettamente alla storia della televisione, c’è un dettaglio curioso: un suo brano strumentale, “Annabella”, finì per accompagnare il monoscopio in bianco e nero. Non era stato scritto con quell’intento, naturalmente: era un pezzo nato per altri usi, forse per raccontare una leggerezza quotidiana, con quell’impronta orchestrale che univa il jazz più morbido alla melodia italiana. Ma la RAI, come spesso accadeva, pescava liberamente dal proprio archivio, e così Annabella si ritrovò a fare da sottofondo al cartello tecnico che segnava le pause del palinsesto.
Il risultato è sorprendente: dietro la geometria ferma del monoscopio, quella musica sapeva muovere l’aria con discrezione. Non era invadente, non distraeva, ma riusciva a dare un tono quasi affettuoso all’attesa. Un piccolo soffio vitale in un momento che altrimenti sarebbe stato puro silenzio televisivo.
Così, Sauro Sili, uomo di palcoscenico e di orchestra, finì per avere anche questo destino singolare: diventare, senza volerlo, parte della memoria sonora dei monoscopi. Un esempio perfetto di come la musica leggera e colta allo stesso tempo, pensata per le voci e per i festival, potesse scivolare fino agli angoli più tecnici e dimenticati della televisione, trovando lì una seconda vita.