Quando si parla di Kaleidon, si entra in un territorio particolare: non il prog spettacolare e barocco dei grandi gruppi internazionali, ma una musica di confine, sospesa tra ricerca e sonorizzazione. Il loro unico album, Free Love (1973), è uno di quei lavori che, pur restando fuori dal circuito della popolarità, ha trovato negli anni un posto preciso dentro la memoria collettiva — soprattutto grazie al monoscopio RAI.
Dentro il disco spiccano infatti due tracce che, più di altre, hanno avuto una seconda vita televisiva: “Polvere” e “Dopo la festa”.
Sono brani che possiedono esattamente la qualità che il monoscopio richiedeva: un andamento dilatato, atmosfere contemplative, un suono capace di abitare l’immobilità dell’immagine senza mai risultare invadente.
I brani sono intessuto di sfumature jazzistiche ed evoca quella sensazione sospesa, un po’ malinconica ma anche serena, che ben si sposava con il fascio immobile del monoscopio a colori.
Ecco perché i Kaleidon, pur non essendo mai stati un gruppo “televisivo”, entrano di diritto nella storia monoscopica: perché la loro musica, nata come ricerca, ha trovato nell’uso notturno della RAI una cornice perfetta. In quelle ore sospese, i brani non erano più solo tracce di un disco di nicchia, ma diventavano la colonna sonora dell’attesa, la voce silenziosa di un’immagine che non parlava.