Gino Marinacci

Il nome di Gino Marinacci appartiene a quella generazione di musicisti italiani formati al Conservatorio, colti e versatili, capaci di muoversi tra jazz, televisione e musica leggera senza mai perdere la propria eleganza. Flautista sopraffino, ma anche clarinettista e sassofonista, Marinacci attraversò gli anni Sessanta e Settanta portando con sé un suono limpido, raffinato, che lo rese collaboratore ideale di tanti grandi della scena romana: da Trovajoli a Morricone, da Piccioni a Umiliani.

Era un artista curioso, pronto a sperimentare. Lo dimostrano i suoi dischi, che oggi sono diventati autentici oggetti di culto: come Arpa in Jazz, dove il suo flauto dialoga con atmosfere leggere e sofisticate, o come Atom Flower’s, un lavoro più tardo che profuma di psichedelia, funk e cinema. Marinacci non era mai banale: ogni sua nota sembrava pensata per dare un tocco in più, uno scintillio discreto.

Ed è forse per questa sua delicatezza che un brano come “Il gattino”, inciso a metà anni Sessanta, è finito per accompagnare persino il monoscopio RAI in bianco e nero. Non era stato scritto per quello, naturalmente: era una piccola composizione lieve, divertente e giocosa proprio come il titolo suggerisce. Ma la RAI, che spesso pescava a piene mani nel proprio archivio, scelse anche questa pagina, lasciandola scorrere sotto il cartello tecnico. E chi ascoltava, senza saperlo, riceveva un frammento di poesia jazzata mentre lo schermo rimaneva immobile.

È questa la magia di Marinacci: un musicista di grande livello che ha saputo portare il suo tocco anche in luoghi insospettabili. Non solo nei festival, nelle orchestre o nei dischi di ricerca, ma persino in quell’angolo silenzioso e ipnotico che era il monoscopio. Il suo flauto, capace di carezzare l’aria con dolcezza, è rimasto anche lì, tra le geometrie bianche e nere della televisione, trasformando un tempo d’attesa in un ricordo indelebile.