Il nome di Hugo Strasser evoca subito le grandi sale da ballo del dopoguerra, i pavimenti lucidi, i passi precisi delle coppie che si muovono all’unisono. Nato a Monaco di Baviera nel 1922, Strasser era un clarinettista elegante e un direttore d’orchestra che ha fatto della danza la sua ragione d’essere. Dal 1955 in poi guidò la sua Orchester Hugo Strasser, e per oltre quarant’anni non smise mai di incidere dischi pensati apposta per accompagnare i ballerini.
La sua serie più celebre, Tanzplatte des Jahres, pubblicata ogni anno dal 1966 fino agli anni Novanta, era molto più di una collana discografica: era il manuale sonoro delle scuole di ballo europee, un repertorio costruito al millimetro sul cosiddetto “strict tempo”, cioè il tempo esatto richiesto per ogni danza standard. Il suo clarinetto emergeva spesso come voce morbida, mai invadente, capace di dare calore a un’orchestra che puntava sulla precisione e sull’equilibrio. Strasser non cercava di stupire con invenzioni rivoluzionarie, ma con la perfezione artigianale del ritmo e dell’eleganza.
Il suo universo, però, rimase quasi del tutto separato dal mondo dei monoscopi RAI. La musica di Strasser nasceva per la pista, non per l’attesa televisiva. Non risultano suoi brani scelti dalla RAI per accompagnare i cartelli tecnici, e in effetti il suo stile, pensato per muovere i corpi, non era quello più adatto a riempire uno spazio immobile. Mentre altri autori italiani o francesi finirono dentro i monoscopi quasi per caso, lui rimase altrove: sulle piste da ballo, nei locali, nelle competizioni, nei dischi che ancora oggi accompagnano le scuole di danza.
Eppure, in qualche modo, il suo nome si colloca a fianco di quel mondo. Perché i monoscopi raccontano una televisione che riempiva i vuoti con musiche prese dagli archivi, e Strasser faceva parte di quell’archivio più ampio che circolava in Europa. Non finì dentro i cartelli RAI, ma la sua musica si respirava comunque in quel clima: era la colonna sonora di un’epoca che cercava ordine, misura, armonia, proprio come la geometria del monoscopio stesso.
Hugo Strasser ha passato la vita a fare danzare l’Europa, e forse non aveva bisogno di apparire anche lì. Il suo clarinetto rimane legato alla luce dei riflettori, alle coppie che si muovono in sala, al ritmo che accarezza i passi. Un’altra faccia della stessa memoria: meno televisiva, ma altrettanto viva.